Abusi in carcere a Pavia, a processo a giugno il compagno di cella di Jordan Tinti
Il trapper, morto suicida un anno fa, aveva denunciato violenze sessuali

Abusi in carcere a Pavia: a giugno il processo per la presunta aggressione a Jordan Tinti da parte del suo compagno di cella. Il trapper, è morto suicida nel mese di marzo dello scorso anno.
Abusi in carcere, processo a giugno
Sarà il mese di giugno a segnare una tappa fondamentale nel caso di Jordan Tinti, il trapper conosciuto come Jeffrey Baby, morto suicida a 26 anni nel carcere di Pavia il 12 marzo 2024. Il procedimento giudiziario verterà sulla presunta violenza sessuale che il giovane avrebbe subito in cella prima della sua tragica fine. Il principale imputato è il suo compagno di detenzione, un uomo di 50 anni che si trova ancora recluso.
A dicembre, il giudice Luigi Riganti ha respinto la richiesta di archiviazione avanzata dal sostituto procuratore Paolo Mazza, accogliendo invece l'opposizione dell'avvocato della famiglia Tinti, Federico Edoardo Pisani. La testimonianza di un altro detenuto, presente nella cella al momento dei fatti, è stata considerata determinante per riaprire il caso. Secondo quanto emerso, la vittima aveva confidato immediatamente di essere stata molestata mentre dormiva sotto l'effetto di un farmaco tranquillante.
La presunta violenza
L'episodio contestato risalirebbe alla notte tra il 25 e il 26 gennaio 2023. Secondo l'accusa, il cinquantenne avrebbe toccato Jordan Tinti nelle parti intime mentre quest'ultimo dormiva. Il trapper si sarebbe svegliato di colpo, reagendo con spavento e chiedendo immediatamente l'intervento dell'agente di sorveglianza. Tuttavia, la denuncia formale dell'accaduto sarebbe arrivata solo successivamente, un ritardo che aveva inizialmente spinto la procura a chiedere l'archiviazione.
Il giudice ha invece ritenuto fondamentali le parole di un altro detenuto, testimone diretto di quanto vissuto da Jordan. Quest'ultimo avrebbe infatti raccontato subito l'accaduto e chiesto spiegazioni al presunto aggressore.
Indagini ancora aperte sulla morte del trapper
Oltre al processo per violenza sessuale, resta ancora in corso anche l'indagine sulle circostanze del suicidio del giovane trapper. La famiglia di Jordan Tinti non crede all'ipotesi del suicidio e ha sollevato dubbi sulle condizioni della sua detenzione. Nonostante avesse già tentato di togliersi la vita due volte, il ragazzo non era sotto sorveglianza speciale.
Tornato nel carcere di Torre del Gallo pochi giorni prima della morte, dopo un periodo in una comunità terapeutica, non avrebbe ricevuto l'assistenza adeguata per il suo stato di fragilità.
Maltrattamenti in carcere
Un altro filone d'indagine, si è invece concluso nei mesi scorsi, e ha portato alla condanna del trapper Gianmarco Fagà, noto come Traffik, accusato di maltrattamenti nei confronti di Jordan Tinti.
Jordan Tinti si trovava in carcere per scontare una condanna a quattro anni e mezzo per rapina aggravata dall’odio razziale. Nel 2020, insieme al trapper Traffik, aveva derubato un immigrato nigeriano, insultandolo e filmando l’episodio per poi condividerlo sui social. La vicenda aveva portato entrambi alla detenzione.
Durante la permanenza in carcere, però, la convivenza tra i due si era rivelata problematica, culminando in una condanna in primo grado per maltrattamenti a carico di Fagà.