L'ANALISI

I medici rivelano: ecco cosa non ha funzionato in questa emergenza Codiv-19

Emergono ora errori e criticità durante la fase critica dell'emergenza. E anche qualche suggerimento per la fase 2.

I medici rivelano: ecco cosa non ha funzionato in questa emergenza Codiv-19
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Ma cosa è andato storto in Lombardia? E perché ci sono stati così tanti morti? Queste le domande che in tanti si stanno facendo in questi giorni. L’Ordine dei medici lombardi in questo senso ha affidato a una lunga lettera rivolta alla Regione l’elenco delle difficoltà riscontrate durante la fase più critica dell’emergenza aggiungendo anche qualche suggerimento per la Fase 2.

La lettera dei medici

La Federazione Regionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Lombardia,  ha preso in esame la situazione relativa all’epidemia da Covid 19 in corso.

“Non è questo il momento delle analisi delle responsabilità, ma la presa d’atto degli errori occorsi nella prima fase dell’epidemia può risultare utile alle autorità competenti per un aggiustamento dell’impostazione strategica, essenziale per affrontare le prossime e impegnative fasi”, hanno spiegato i direttori degli ordini locali, tra cui Carlo Maria Teruzzi, presidente di categoria dei brianzoli.

Errore 1: pochi tamponi

Secondo i medici, a fronte di un ottimo intervento sul potenziamento delle terapie intensive e semi intensive, per altro in larga misura reso possibile anche dall’impegno e dal sacrificio dei medici e degli altri professionisti sanitari, sia risultata evidente l’assenza di strategie relative alla gestione del territorio.

“Ricordiamo, a titolo di esempio non esaustivo la mancanza di dati sull’esatta diffusione dell’epidemia, legata all’esecuzione di tamponi solo ai pazienti ricoverati e alla diagnosi di morte attribuita solo ai deceduti in ospedale. I dati sono sempre stati presentati come “numero degli infetti” e come “numero dei deceduti” e la mortalità calcolata è quella relativa ai pazienti ricoverati, mentre il mondo si chiede le ragioni dell’alta mortalità registrata in Italia, senza rendersi conto che si tratta solo dell’errata impostazione della raccolta dati, che sottostima enormemente il numero dei malati e discretamente il numero dei deceduti”.

Errore 2: aree a rischio e Rsa

C’è poi il discorso dell’incertezza nella chiusura di alcune aree a rischio e la gestione delle Rsa, nelle quali in Lombardia sarebbero morti già il 20% dei ricoverati.

“La gestione confusa della realtà delle RSA e dei centri diurni per anziani, che ha prodotto diffusione del contagio e un triste bilancio in termini di vite umane (nella sola provincia di Bergamo 600 morti su 6000 ospiti in un mese – spiegano i medici nella lettera indirizzata all’assessore alla Salute di Regione Lombardia Giulio Gallera – A questo si aggiunge la mancata fornitura di protezioni individuali ai medici del territorio (MMG, PLS, CA e medici delle RSA) e al restante personale sanitario. Questo ha determinato la morte di numerosi colleghi, la malattia di numerosissimi di essi e la probabile e involontaria diffusione del contagio, specie nelle prime fasi dell’epidemia”.

Errore 3: l’igiene

I presidenti degli ordini provinciali della Regione Lombardia (FROMCeO) rilevano poi “la pressoché totale assenza delle attività di igiene pubblica (isolamenti dei contatti, tamponi sul territorio a malati e contatti, ecc…), la mancata esecuzione dei tamponi agli operatori sanitari del territorio e in alcune realtà delle strutture ospedaliere pubbliche e private, con ulteriore rischio di diffusione del contagio “. Insomma, per loro,  il mancato governo del territorio ha determinato la saturazione dei posti letto ospedalieri con la necessità di trattenere sul territorio pazienti che, in altre circostanze, avrebbero dovuto essere messi in sicurezza mediante ricovero. “Si trattava di un’emergenza di sanità pubblica, non intensivologica. La sanità pubblica e la medicina territoriale sono state da molti anni trascurate e depotenziate nella nostra Regione”. E infatti un altro dei problemi è stato  determinato anche dalla esigenza di trattare a domicilio pazienti che ordinariamente sarebbero stati inviati in ospedale, ma che non hanno potuto essere accolti per saturazione dei posti letto. Come fare  per limitare i danni nelle prossime fasi? I medici hanno risposto anche su questo.

Suggerimenti per il futuro: il test

Per la fase 2 il fulcro sarà avere screening anticorpali efficaci, così da individuare chi ha avuto contatto con il viurs e ha superato l’infezione in modo asintomatico o paucisintomatico.

“La nostra proposta è di sottoporre tutti a test rapido immunologico, una volta ufficialmente validato, e, in caso di riscontro di presenza anticorpale (IgG e/o IgM), sottoporre il soggetto a tampone diagnostico. In caso di positività in assenza di sintomi potrebbe essere da valutare la possibilità, in casi estremi con l’attribuzione di specifiche responsabilità e procedure, di un’attività solo in ambiente Covid, sempre con protezioni individuali adeguate. Il test immunologico andrebbe ripetuto con periodicità da definire negli operatori sanitari risultati negativi”.

E ancora: “Per quanto riguarda le attività non sanitarie sembra raccomandabile un’estesa effettuazione di test rapidi immunologici per discriminare i soggetti che non hanno avuto contatto con il virus, soggetti che si possono riavviare al lavoro. Per i soggetti nei quali si rileva la presenza di immunoglobuline (IgG o IgM) sembra indicata l’esecuzione del tampone diagnostico. In tal senso si raccomanda di potenziare al massimo tale attività diagnostica e di procedere prima ad indagare i soggetti che risultano urgente riammettere al lavoro, in quanto addetti ad attività ritenute di prioritario interesse, in funzione della disponibilità di tamponi. La ripresa del lavoro dovrebbe essere subordinata all’effettuazione del test immunologico rapido di screening, non risultando in letteratura alcun termine temporale valido per la quarantena post malattia, anche se decorsa in forma paucisintomatica”.

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La ripresa

Insomma, per i medici, la ripresa potrà quindi essere solo graduale, prudente e con tempi dettati dalla necessità di mettere in campo le opportune risorse indicate. “E’ superfluo segnalare come qualsiasi imprudenza potrebbe determinare un disastro di proporzioni difficili da immaginare e come le misure di isolamento sociale siano da potenziare e applicare con assoluto rigore”.  E nella lunga lettera Fromceo ha anche espresso la disponibilità ad un confronto costante con le Istituzioni preposte alla gestione dell’emergenza. Con una stoccata critica: “Spiace rimarcare come tale collaborazione, più volte offerta, non sia ad oggi stata presa in considerazione”.

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