Delicato intervento per LDS eseguito al San Matteo, la competenza pavese salva una 14enne
I genitori: "Quello che ci incoraggia è sapere che in questa città, Pavia, ci siano queste competenze".
Al San Matteo, un caso di sindrome di Loeys-Dietz (LDS) trattato con una procedura multidisciplinare. L’intervento è stato realizzato su una paziente giovanissima.
Trattata LDS al San Matteo di Pavia
Al San Matteo, una giovanissima paziente affetta da sindrome di Loeys-Dietz (LDS) è stata sottoposta ad un delicatissimo intervento realizzato con una procedura multidisciplinare che ha visto impegnate due equipe, in due interventi chirurgici a tre giorni di distanza l’uno dall’altro.
“Sono più di dieci anni che abbiamo in cura questa giovane paziente: da quando nel 2008 (all’epoca aveva solo quattro anni di età) le diagnosticammo la sindrome di Loeys-Dietz; una malattia genetica rara del tessuto connettivo che coinvolge più organi e apparati tra cui il sistema cardiovascolare ed il sistema scheletrico – spiega Eloisa Arbustini, Direttore del Centro Malattie Genetiche Cardiovascolari del San Matteo -. In particolare i pazienti con sindrome di Loeys-Dietz sviluppano dilatazioni arteriose aneurismatiche con rischio di dissezione e rottura aortica anche in età precoce”.
L'allarme il 9 agosto
Il 9 giugno un dolore improvviso allo sterno e alla spalla sinistra preoccuparono i genitori della ragazza che chiamarono subito la professoressa Arbustini e partirono immediatamente per Pavia.
“All’arrivo tutto era pronto – raccontano i genitori della ragazza -: radiologia diagnostica, cardiochirurgia, radiologia interventistica, chirurgia vascolare, anestesia e rianimazione. La diagnosi fu delle peggiori, ciò che un padre e una madre non vorrebbero mai sentirsi dire: complessa lesione da dissezione arteriosa del tratto succlavio, lusorio e aortico. La macchina organizzativa del San Matteo si mise in moto e tutto fu studiato e programmato nel minimo dettaglio”.
Dalla tac total-body - eseguita dai dottori Michela Zacchino ed Emilio Maria Bassi, sotto la direzione del professor Lorenzo Preda – viene, infatti, evidenziata un’evoluzione sfavorevole della malattia genetica con “una dilatazione dell’aorta ascendente con associata dissecazione di tipo A ed un voluminoso aneurisma (quasi 7 centimetri di diametro) dell’arteria succlavia destra con origine anomala (arteria lusoria) a valle della succlavia sinistra” spiega Franco Ragni, direttore della UOC Chirurgia Vascolare.
Il trattamento chirurgico tradizionale di queste patologie è gravato da complicanze e da un elevato tasso di mortalità e, nel caso di questa giovane paziente, reso ancora più complesso a causa delle anomalie scheletriche del torace, tipiche di questa patologia.
Intervento molto rischioso, che fare quindi?
Eseguire l’intervento in un unico step non è fattibile: troppo rischioso. La scelta, non facile, arriva dopo due incontri multidisciplinari tra Franco Ragni, chirurgo vascolare, Stefano Pelenghi, cardiochirurgo, Pietro Quaretti, radiologo interventista ed Eloisa Arbustini.
L’intervento verrà eseguito in due momenti differenti con un approccio multidisciplinare.
Quindi, la paziente viene sottoposta al trattamento dell’arteria lusoria, necessario per mettere in sicurezza questa arteria, difficilmente raggiungibile per via sternotomica, e consentire, così la realizzazione del secondo intervento.
Intervento diviso in due momenti
Questa prima parte della procedura chirurgica ha visto impegnata, per ben quattro ore, sotto il coordinamento di Franco Ragni, Direttore della UOC Chirurgia Vascolare, un’equipe composta da due chirurghi vascolari, Antonio Bozzani e Vittorio Arici; due radiologi interventisti, Pietro Quaretti e Nicola Cionfoli; due anestesisti, Giulia Ticozzelli e Giacomo Bruschi; uno strumentista, Leo Papa.
Tre giorni dopo, un’altra equipe, composta da due cardiochirurghi, Stefano Pelenghi e Maurizio Salati; quattro anestesisti, Mirko Belliato, Monica Toscani, Chiara Dezza e Mariachiara Riccardi; due perfusionisti, Antonella Degani e Alessio Biglia e uno strumentista, Massimo Bergonzi, ha eseguito, con l’ausilio della circolazione extracorporea, la ricostruzione dell’aorta ascendente per via sternotomica, che li ha tenuti impegnati in sala operatoria per ben dieci ore.
“Ancora una volta il San Matteo ha dimostrato come il lavoro di squadra (chirurghi, anestesisti, infermieri e personale di supporto) sia vincente e come il senso di appartenenza di tutte queste figure lo rendano unico - dichiarano, Franco Ragni, direttore della UOC Chirurgia Vascolare, e Stefano Pelenghi, direttore della UOC Cardiochirurgia -. L’intervento eseguito non solo ha permesso di aiutare questa giovane paziente, ma rappresenta un “first-in-man” e per tale motivo è stato sottomesso ad una importante rivista scientifica”.
Il post operatorio
Il percorso post operatorio è stato tutt’altro che facile, ma questa giovane paziente, in questi giorni ha lasciato il reparto di Anestesia e Rianimazione II – Cardiopolmonare, diretto da Mirko Belliato, per essere trasferita in un centro di riabilitazione.
“Questa malattia è subdola, con possibili continue evoluzioni e potrebbe sempre determinare problematiche future – raccontano ancora i genitori -. Ma quello che incoraggia noi, come altri genitori, è sapere che in questa città, Pavia, ci siano queste competenze, preparazione chirurgica, tecnologie, volontà e umanità per ridare speranza di guarigione e di vita a questi piccoli pazienti”.
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