Una struttura era nel Pavese

Caso società Alviero Martini: operai pagati 20 euro per borse da 350, uno regolarizzato il giorno dopo la morte sul lavoro

I subappaltatori non autorizzati avevano realizzato anche dormitori abusivi dove far vivere i lavoratori in nero

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Tra le notizie più scottanti emerse nel corso della giornata di ieri, mercoledì 17 gennaio 2024, c'è sicuramente quella che ha riguardato da vicino il brand di alta moda Alviero Martini Spa per il quale, al termine di un'inchiesta effettuata dai Carabinieri del Nucleo Ispettorato del Lavoro di Milano, è stato disposto l'affiancamento di Amministratori Giudiziari.

Il celebre marchio, in una vicenda che ha a che fare con impiego di manodopera irregolare, sfruttamento lavorativo e caporalato, non è indagato, ma gli è stata comunque contestata l'incapacità "di prevenire e arginare questi fenomeni nell'ambito del ciclo produttivo".

Le fasi della produzione, infatti, sono state esternalizzate a società terze tramite un contratto di appalto che prevedeva il divieto di sub-appalto senza un'autorizzazione preventiva. Dagli accertamenti, però, è emerso che quest'ultime si avvalessero, di nascosto al brand Alviero Martini Spa, di opifici cinesi non autorizzati (uno dei quali si trovava a Villanova d'Ardenghi, in provincia di Pavia) in cui, per abbattere i costi del lavoro, si faceva ricorso a manovalanza “in nero” e clandestina, senza osservare né le norme relative alla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, né i Contratti Collettivi Nazionali Lavoro di settore.

Durante le indagini, i Carabinieri del NIL hanno riscontrato come il marchio non abbia mai effettuato ispezioni o audit sulla filiera produttiva per verificare le reali condizioni di lavoro, ossia le capacità tecniche delle aziende appaltatrici cui appunto è stata affidata la produzione.

"Con riferimento alla notizia di stampa riferita alla nostra società - ha scritto il brand in una nota - l'Alviero Martini Spa comunica di essersi messa tempestivamente a disposizione delle autorità preposte, non essendo peraltro indagati né la Società né i propri rappresentanti, al fine di garantire e implementare da parte di tutti i suoi fornitori, il rispetto delle norme in materia di tutela del lavoro.

Si ribadisce in ogni caso - prosegue la nota - che tutti i rapporti di fornitura della Società sono disciplinati da un preciso codice etico a tutela del lavoro e dei lavoratori al cui rispetto ogni fornitore è vincolato. Laddove emergessero attività illecite effettuate da soggetti terzi, introdotte a insaputa della Società nella filiera produttiva, assolutamente contrari ai valori aziendali, si riserva di intervenire nei modi e nelle sedi più opportune, al fine di tutelare i lavoratori in primis e l'azienda stessa".

Articoli venduti a 350 euro, ma prodotti negli opifici a 20 euro

I militari dell'Arma, al termine degli accertamenti, hanno rilevato che nel corso della produzione si fosse venuto a instaurare un sistema "a strozzo".

Per un prodotto venduto sul mercato a 350 euro, l'opificio cinese (ingaggiato all’insaputa della Alviero Martini S.p.A.) che lo produceva si sarebbe fatto pagare solo 20 euro. Seguendo la catena dei subappalti della produzione, l'azienda di alta moda, secondo gli investigatori, avrebbe pagato il prodotto finale 50 euro.

Le società appaltatrici, invece, che disponevano solo nominalmente di un'adeguata capacità produttiva, avrebbero a loro volta esternalizzato la produzione a dei subappaltatori non autorizzati pagandoli 30 euro per un singolo articolo. Quest'ultimi, alla fine, per realizzarli concretamente si servivano appunto di opifici cinesi non autorizzati che per un singolo prodotto venivano pagati 20 euro.

La società Alviero Martini su questo punto però precisa:

La Alviero Martini S.p.A. non ha tratto alcun profitto dalla commissione degli illeciti riscontrati dalla Procura. La Alviero Martini S.p.A. ha pagato i propri fornitori diretti, incaricati della façon dei prodotti, secondo prezzi di mercato e non ha pertanto tratto alcun profitto dai ricarichi effettuati dagli altri soggetti appartenenti alla catena di produzione non autorizzata mediante illecito sfruttamento del lavoro. I prezzi a cui “i prodotti uscivano dagli opifici cinesi” riportati dalla stampa sono di gran lunga inferiori a quelli pagati dalla Alviero Martini S.p.A., a seguito della catena di rincari, ai propri fornitori autorizzati. I costi in questione, tra l’altro, costituiscono solo una delle voci di costo necessarie per la realizzazione del prodotto finale fino alla immissione in commercio, cui vanno aggiunte, tra l’altro, quelle per l’acquisto e le lavorazioni delle materie prime e degli accessori- come pellami, tessuti, accessori metallici - e altre innumerevoli voci accessorie quali, a titolo esemplificativo, trasporto, packaging, etichettatura, ecc.

Insomma, nessuna correlazione tra il prezzo della lavorazione pagato agli opifici non autorizzati e il prezzo di vendita al pubblico.

Lavoro "nero", sfruttamento e dormitori abusivi

Risalendo all'ultimo tassello della catena, i Carabinieri del NIL hanno rilevato che negli 8 opifici cinesi (ingaggiati all’insaputa della Alviero Martini S.p.A.), uno dei quali situato nel Pavese a Villanova d'Ardenghi (gli altri divisi tra le province di Milano e Monza Brianza), per abbattere i costi di produzione, venissero impiegata manodopera irregolare e clandestina in condizioni di sfruttamento.

Su questo aspetto è stata anche resa nota dall'Ansa una testimonianza di uno dei lavoratori cinesi impiegati negli opifici non autorizzati:

"Vengo pagato 1,25 euro a tomaia (la parte superiore di una scarpa, ndr) durante la settimana dormo sopra la ditta al piano primo presso locali adibiti a dormitorio (...) in una giornata lavorativa produco circa 20 paia di scarpe (...) percepisco un bonifico mensile di circa 600 euro che ci paga il titolare che produce tomaie relative all'azienda Alviero Martini".

Un altro operaio, riporta ancora l'Ansa, ha messo a verbale:

"Percepisco 50 centesimi ogni fibbia rifinita (...) non sono mai stato visitato dal medico dell'azienda".

Oltre alla mancata osservanza sia delle norme relative alla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, sia dei Contratti Collettivi Nazionali Lavoro di settore (relativi a retribuzioni della manodopera, orari di lavoro, pause e ferie ecc...), i militari dell'Arma hanno scoperto l'esistenza di dormitori realizzati abusivamente ed in condizioni igienico sanitarie sotto minimo etico.

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Il caso di un operaio morto sul lavoro (regolarizzato il giorno dopo)

In tutta questa tanto complessa quanto articolata faccenda, emerge dal provvedimento della sezione Misure di Prevenzione del Tribunale anche il caso di un operaio in nero, 26enne del Bangladesh, che lo scorso 24 maggio 2023 ha perso la vita nel capannone di una ditta a Trezzano sul Naviglio, schiacciato dalla caduta di un macchinario.

Ma, aggiunge l'Ansa, "per camuffare l'effettivo status di lavoratore in nero" dell'operaio, il giorno dopo la società per cui lavorava "ha inviato il modello telematico di assunzione al Centro per l'impiego e agli enti contributivi e assicurativi Inps ed Inail".

Il 26enne del Bangladesh sarebbe stato così regolarizzato il giorno dopo la tragedia.

Naturalmente l’operaio disgraziatamente vittima dell'incidente non era un dipendente della Alviero Martini S.p.A., né ha mai svolto alcuna attività per la stessa, estranea all’evento.

Denunciati in dieci per caporalato

I Carabinieri del Nucleo Ispettorato del Lavoro di Milano hanno così denunciato a vario titolo per caporalato dieci titolari di aziende di diritto o di fatto di origini cinesi. Altri 37 soggetti sono stati individuati con persone non in regola con la permanenza e il soggiorno in Italia.

Sono state infine elevate ammende pari a oltre 153mila euro e sanzioni amministrative totali per 150mila euro. E' stata poi sospesa immediatamente l'attività in sei aziende finite sotto la lente per gravi violazioni in materia di sicurezza e per utilizzo di lavoro nero.

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