Cannabis light illegale: la Cassazione dice stop alla vendita

Reato vendere nei growshop cannabis light con thc fino a 0,6 per cento.

Cannabis light illegale: la Cassazione dice stop alla vendita
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Tempi duri per negozi specializzati e semplici tabaccai: è reato vendere nei growshop cannabis light con thc fino a 0,6 per cento.

Cassazione dice stop

Lo stabiliscono le Sezioni unite penali della Cassazione con l’informazione provvisoria 15/2019, che mette fine a un contrasto di giurisprudenza, dando così uno stop alla vendita della ‘cannabis light’. Integra il delitto di spaccio la commercializzazione a qualsiasi titolo dei prodotti derivati dalla cannabis sativa L., salvo che siano del tutto privi di efficacia drogante.

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I negozi per ora non chiudono

Ma i negozi di cannabis non sono destinati automaticamente a chiudere. Almeno, non ora: bisogna attendere fino a quando la Cassazione non avrà depositato per intero le motivazioni della sentenza che ha reso illegale la vendita di una serie di prodotti derivati dalla canapa.

Cannabis light illegale

Tempi duri comunque per negozi specializzati e semplici tabaccai. Il contrasto di giurisprudenza è composto secondo l’orientamento restrittivo: la legge 242/16 qualifica come lecita soltanto l’attività di coltivazione della canapa delle varietà iscritte nel catalogo comune delle specie di piante agricole ai sensi dell’articolo 17 della direttiva 2002/53/Ce del Consiglio, del 13 giugno 2002 e che elenca tassativamente i derivati che possono essere commercializzati.

Chi vende rischia condanna per spaccio

Insomma: rischia la condanna per spaccio di droga chi commercializza a qualsiasi titolo foglie, inflorescenze, olio e resina ottenuti dalla coltivazione di cannabis sativa L (cfr. sentenze 34332/2018 e 4920/2019).

Sono tre i requisiti affinché sia lecita la coltivazione di cannabis:

1- la varietà deve essere una di quelle ammesse, iscritte nel catalogo europeo;
2- la percentuale di thc inferiore o pari allo 0,2;
3- la coltivazione finalizzata a realizzare uno dei prodotti espressamente indicati dall’articolo 2, secondo comma, della legge 242/16.

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Usi consentiti, solo se…

Gli usi consentiti sono vari: dagli alimenti ai cosmetici, dal florovivaismo ai materiali per la bioedilizia fino ai prodotti per la bonifica di siti inquinati.

Smentito l’orientamento secondo cui dall’interpretazione della norma emergerebbe che è lo 0,6 per cento di thc il tetto cui la cannabis non è considerata dalla legge come produttiva di effetti stupefacenti rilevanti sul piano giuridico.

E ciò perché in base all’articolo 4 della legge 242/06 nessuna responsabilità è posta a carico dell’agricoltore che ha rispettato le prescrizioni quando dai controlli sulle coltivazioni emerge un contenuto complessivo medio di thc superiore allo 0,2 per cento ma inferiore a 0,6.

La materia affrontata dal Parlamento

Prevale la lettura rigorosa secondo cui, come risulta dai lavori parlamentari, la nuova normativa si applica alle varietà che non rientrano nell’ambito di applicazione del testo unico in materia di stupefacenti. Il pg aveva chiesto di rimettere gli atti alla Consulta. Di recente la Suprema corte aveva confermato il sequestro di profumi per ambienti alla cannabis in quanto prodotti non contemplati.

In sintesi, evidenzia Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, la legge non consente la vendita o la cessione a qualunque titolo dei prodotti “derivati dalla coltivazione della cannabis”, come l’olio, le foglie, le inflorescenze e la resina.

 

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