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Citomegalovirus in gravidanza: uno studio svela che anche le donne “immuni” possono trasmetterlo al feto

Responsabile di sordità congenita e ritardi nello sviluppo psicomotorio nei neonati

Citomegalovirus in gravidanza: uno studio svela che anche le donne “immuni” possono trasmetterlo al feto
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Uno studio internazionale, promosso dal San Matteo di Pavia, ha dimostrato che il Citomegalovirus (CMV) può infettare il feto anche in donne già immuni, a causa di una risposta immunitaria materna incompleta. La scoperta apre la strada a nuovi vaccini e strategie di prevenzione più efficaci durante la gravidanza.

Citomegalovirus in gravidanza:

Il Citomegalovirus (CMV) è uno dei principali responsabili di sordità congenita e ritardi nello sviluppo psicomotorio nei neonati. Fino a oggi si pensava che il rischio di infezione fetale fosse praticamente assente nelle donne già entrate in contatto con il virus prima della gravidanza. Tuttavia, uno studio internazionale di grande portata, chiamato CHILd e guidato dalla Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia, ha dimostrato che anche in queste donne il virus può colpire il feto, con conseguenze gravi.

Analizzate 10mila gravidanze

Lo studio CHILd, promosso dal San Matteo in collaborazione con dieci ospedali lombardi, ha analizzato circa 10mila gravidanze grazie al finanziamento della Fondazione Regionale per la Ricerca Biomedica (FRRB). I risultati rispondono a un interrogativo medico di lunga data: perché il CMV può infettare il feto anche in donne apparentemente immuni?

Virus silente

Il CMV è un virus molto diffuso, che può restare nascosto nell’organismo per tutta la vita senza dare sintomi evidenti. Tuttavia, in situazioni di debolezza del sistema immunitario - come nel caso della gravidanza - può riattivarsi. L’infezione congenita da CMV colpisce circa 1 neonato ogni 150, con complicanze gravi in circa un caso su 6.

“Nel caso delle donne non immuni che si infettano durante la gravidanza, il rischio di trasmissione al feto è alto (30-40%). In quelle immuni, invece, è molto basso (meno del 3%). Ma non si sapeva perché in rari casi anche le donne immuni trasmettessero il virus” spiega Daniele Lilleri, microbiologo e primo autore dello studio.

I ricercatori hanno scoperto che in alcune donne che avevano già avuto contatti precedenti con il CMV, la risposta immunitaria non è sufficientemente efficace. In particolare, presentano un numero ridotto di linfociti T della memoria, cellule fondamentali per attivare rapidamente la difesa contro il virus.

Inoltre, gli anticorpi neutralizzanti, pur presenti, non bastano a proteggere il feto. Nei casi di infezione congenita, gli anticorpi materni mostrano anche una ridotta capacità di attivare le cellule “Natural Killer”, essenziali nel contrasto al virus. Questi risultati sono stati spiegati da Fausto Baldanti, direttore della Microbiologia e Virologia al Policlinico San Matteo, e da Daniele Lilleri.

Verso nuove strategie di prevenzione

Per la prima volta, lo studio identifica con precisione i difetti immunologici che consentono al CMV di infettare il feto anche in donne apparentemente protette. Questo apre nuove prospettive per la diagnosi e la prevenzione durante la gravidanza, e soprattutto per lo sviluppo di vaccini mirati.

Lo studio CHILd definisce infatti le caratteristiche della risposta immunitaria ideale che un vaccino dovrebbe stimolare per impedire la trasmissione fetale del virus.