RIFLESSIONE

Caso Garlasco, parla Raffaele Sollecito: “Lo stigma non te lo toglie nessuna sentenza”

L’ex imputato del delitto di Perugia interviene sulla vicenda, richiamando il peso del giudizio sociale

Caso Garlasco, parla Raffaele Sollecito: “Lo stigma non te lo toglie nessuna sentenza”

Il caso di Garlasco continua a infittirsi, lasciando numerosi dubbi su quanto è realmente accaduto prima e dopo la notizia della tragica morte dell’allora 26enne Chiara Poggi. Non mancano colpi di scena, supposizioni e continue modifiche nella ricostruzione dei fatti avvenuti il 13 agosto 2007 all’interno dell’abitazione della vittima.

A seguito della notizia della revoca del mandato, richiesta dall’imputato Andrea Sempio, nei confronti di quello che era il suo legale — avvocato Massimo Lovati — e del presunto coinvolgimento del PM Venditti, attualmente accusato di corruzione, a prendere parola è Raffaele Sollecito, da tutti conosciuto per il suo coinvolgimento giudiziario legato all’omicidio di Meredith Kercher.

Raffaele Sollecito parla di Garlasco

Dopo aver vissuto la bufera mediatica e giudiziaria legata all’iniziale ipotesi di un suo coinvolgimento nell’assassinio della studentessa britannica, avvenuto a Perugia nella notte tra il 31 ottobre e il 1° novembre 2007, Raffaele Sollecito torna a far sentire la sua voce.

Inizialmente accusato di concorso in omicidio insieme ad Amanda Knox, condannato in primo grado e poi definitivamente assolto dalla Corte di Cassazione nel 2015, Sollecito si immedesima nei panni delle persone coinvolte, rivivendo sulla sua pelle il giudizio dell’opinione pubblica, spesso influenzata dalla narrazione dei fatti, che contribuisce a far crescere nel cittadino un pregiudizio.

 

Ci sono storie che non finiscono anche quando la giustizia dice che sei innocente. La mia è così. Viviamo in un mondo dove si censurano battute fatte verso le minoranze, ma si può facilmente rovinare la vita di un innocente o far finta di nulla, e lo sto vedendo di nuovo nel caso di Garlasco, e la cosa mi intristisce molto. Il marchio che mi porto addosso non è una colpa, è uno stigma, e quello non te lo toglie nessuna sentenza, nemmeno una di assoluzione. Di fatto, oggi il politically correct difende tutto e tutti tranne chi non ha fatto nulla.

Ancora oggi mi sento costretto a dimostrare di non essere quello che hanno raccontato di me. Mi capita spesso di sentire di doverlo dimostrare quando entro in un bar, quando vado a fare qualche commissione. Quando leggo nello sguardo delle persone un pregiudizio o un atteggiamento di voler sapere o conoscere cose che in realtà non sanno di me. È colmare quella distanza che c’è fra chi sono e quello che leggo nello sguardo delle persone che mi circondano. In un mondo come questo, una sentenza di assoluzione non ti libera, ma spesso ti porta in una nuova prigione: quella del giudizio e dello sguardo delle persone.”

È così che Sollecito interviene sul caso Garlasco: nessuna supposizione, alcun giudizio, solo una riflessione personale che lo catapulta in una realtà a cui non vorrebbe appartenere. Si concentra sul pensiero che si lega alla persona ancor prima dell’esito della sentenza: un giudizio definitivo che non svanisce col tempo e che rimane intrinseco nella propria quotidianità.