Se ne è andata Franca Gerosa, colonna del Giornale di Lecco

Se ne è andata Franca Gerosa, colonna del Giornale di Lecco
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Lei sì che domani mattina, anzi con tutta probabilità già questa notte, avrebbe trovato un commento, senza dubbio tanto tagliente  quanto incisivo per definire il risultato delle elezioni. Avrebbe diretto, anche dal letto in cui era da tempo costretta, i lavori di una redazione in subbuglio. Avrebbe detto chi chiamare, come chiamarlo, quando  chiamarlo. Forse anche cosa chiedergli. Averebbe fatto il suo lavoro ( e avrebbe provato a fare anche quello degli altri, perchè lei voleva arrivare ovunque) con la solita spigliatezza di chi, in queste acque, naviga sereno, nel suo habitat naturale.

Franca Gerosa, colonna del Giornale di Lecco.

E invece Franca Gerosa, direttrice e colonna del Giornale di Lecco ci ha lasciati nel pomeriggio. Aveva 60 anni.  In questo momento non ci sono parole, se non le sue, che possano spiegare cosa è stata Franca per il Giornale e cosa è stato il Giornale per Franca. Per questo vogliamo riportare fedelmente la sua ultima importante testimonianza. Uno scritto, oggi un testamento, che è stato uno sprone per molti. Che ha insegnato che donne come Franca non vengono sconfitte dal male, locuzione che spesso utilizziamo. Ma che il male lo affrontano fino alla fine. Perchè Franca non ha perso la sua battaglia, ma tutti noi abbiamo perso lei.

Il funerale di Franca verrà celebrato martedì 6 marzo alle 15.30 nella chiesa parrocchiale di San Giovanni a Lecco.

Di cancro si  muore, dal cancro si guarisce, col cancro si vive

Ho sessant’anni e da più di due e mezzo ho scoperto di avere il cancro. Nel mezzo due interventi (e un terzo che  sta diventando un miraggio), decine e decine di chemio, trattamenti radioterapici, infezioni, dolore,  nausea, momenti di sconforto, ma anche amicizie, interessi, gioie,  sorrisi, risate, chiacchierate con gente vera e meno vera, vacanze, pranzi e cene al ristorante, caffè con macarones con chi ti sta vicino, sempre. E ancora litigate, abbracci, affetto, amore, camminate (anche se al rallentatore),  una giornata alle terme, vari passaggi in libreria  e il lavoro, tanto… insomma la vita di tutti i giorni. Quella che hai sempre fatto e che vuoi, che puoi continuare a fare, nonostante la sorpresa negli occhi degli altri, anche in quelli dei tuoi  oncologi perché,  se hai un cancro, devi fermarti. A meno che tu non guarisca e chiuda la parentesi (?). 

E se non guarisci?

Se non rientri tra quanti ne escono «vittoriosi», se non fai parte  delle statistiche che sostengono che sempre di più (?!?) si guarisce? 
Se per te il protocollo non ha funzionato, né ha funzionato il  secondo  e magari neppure il terzo? 
Se il tuo cancro è un bastardello che, se non fosse dentro di te, sarebbe pure simpatico perché ama giocare a nascondino, cambiare forma, acquattarsi silenzioso come i gatti che ami, per  scattare improvvisamente e far lampeggiare le immagini delle Pet come se dentro avessi soli  radiosi e vulcani eruttanti? 
Colori e forme che pensavi appartenenti alle stelle  fanno parte di te.  E se dagli occhi  scendono lacrime silenziose mentre li guardi, la mente ne resta affascinata.
 È vita anche quella.  E smetti di odiare il cancro. Già, perché di cancro si muore, dal cancro si guarisce, col cancro si vive. 
Comprendi  che la malattia magari ti ha tolto l’illusione di poter dirigere la tua  vita, di poter fare domani o tra un mese quello che non hai fatto oggi o due anni fa, ma ti ha dato la  consapevolezza di cosa e chi vale davvero,  di cosa e chi per te è importante;  la lucidità di distinguere il bene dal male,  il giusto dallo sbagliato. Ha diviso le acque: di qui le persone che ti vogliono bene, sempre e comunque, di là quelle che vengono a trovarti o chiedono  notizie  della tua salute  per  sentirsi per bene  e sono ancora peggio di quelle che ti hanno cancellato (compresi alcuni colleghi) perché (secondo loro) stai per morire e quindi non servi più. 
 

Una scoperta continua

Rimetti in discussione valori e principi, riscopri che è possibile dire no anche se significa   rompere legami che parevano indistruttibili,  non fare carriera, essere considerata una rompiballe. Comprendi che devi spenderti al massimo e senza paura per quello che per te vale. 
 Scopri che col cancro si può continuare a lavorare. Lo so, è un diritto restare a casa in malattia.  Ma se non mi sento malata, ma solo viva, obbligarmi  a restare su una  sedia,  una parrucca in testa e il viso ridisegnato dal trucco,  è per il bene mio o di chi  mi sta attorno? Della gente  che non vuole pensare alla morte, alla malattia e al dolore?  Dei medici-piccoli chimici  che si devono misurare con il fallimento degli infallibili protocolli?  Dell’ospedale che non  può o non vuole adattare i suoi ritmi ai miei,  ma preferisce avermi a disposizione 24 ore al giorno   così non deve rivedere i  turni, tenere aperti  i day hospital  fino a tardi, sabati e domeniche, interrogarsi su cosa è davvero la cura? Dei  politici  che possono parlare del malato al centro (Sbagliato! Siamo e restiamo persone), mentre tagliano personale, macchinari e fondi,  fanno appalti sempre più al ribasso e affastellano scandalo su scandalo, tanto  il  giorno dopo tutti se ne sono dimenticati? Della società che vuole i  supermercati  aperti  a Natale e il Primo maggio, la sera e la notte, ma d’estate, il sabato, la domenica,  i ponti… guai se hai bisogno di assistenza e tarapie? Dei datori di lavoro che non vogliono adattarsi al cambiamento?

Chi se ne frega se hai il cancro, tu vali

Magari tu, invece,  hai come capo una brava persona che  quando gli dici: «La malattia va avanti, devo tornare in sala operatoria e poi… chissà…», risponde: «Dai che ce la fai anche questa volta. Chi se ne frega se hai il cancro, tu vali». E ti promuove. 
Magari ci sono  famigliari, amici, conoscenti e colleghi che ti incitano e, quando serve, cambiano le abitudini e adattano il  passo al tuo per non lasciarti indietro.  
Magari ci sono infermiere che una notte ti abbracciano stretta riconoscendo in te una persona che soffre nell’anima prima che nel corpo o che passando ti lanciano un sorriso o si fermano a parlare dimenticando la tabella che le costringe a stare a fianco di un malato (ci risiamo!) tot minuti e non di più. 

L’umanità dei medici

 Magari ci sono medici illuminati che non parlano di protocolli e statistiche, che non guardano a te come a un malato, ma a una persona che ha una malattia, che si battono con te e per te, che ti aiutano a vivere la tua vita. Quella che tu ami, anche quando il cancro pretende  sempre più spazio e tu sei sempre più stanca. Perché  col cancro si vive. Non è una parentesi buia, è parte dell’esistenza umana che è bella o brutta a seconda di come tu la costruisci.
 E la  tua faccia, sempre più tonda, adorna di quattro pelucchi e con gli occhi bigi, ti piace così come è, perché è la tua. Perché sei tu.
E non importa se non tutte le domande che poni  hanno una risposta.  Sai che Qualcun  altro  ti ascolta. E ti basta.
Franca Gerosa
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