Delitto di Garlasco, a "Le Iene" la verità di Alberto Stasi: "Sono innocente e dormo sereno"
Nella puntata andata in onda ieri sera per la prima volta racconta perché in uno dei casi di cronaca più dibattuti ci sarebbero, secondo lui, troppi errori investigativi e dubbi ancora aperti.
13 agosto 2007: Chiara Poggi, 26 anni, viene uccisa nella casa di famiglia a Garlasco. Per l'omicidio è stato condannato il fidanzato Alberto Stasi, oggi 38enne. Nella puntata delle Iene andata in onda ieri sera, martedì 24 maggio 2022, per la prima volta racconta perché in uno dei casi di cronaca più dibattuti ci sarebbero secondo lui troppi errori investigativi e dubbi ancora aperti. E perché si proclama e si è sempre proclamato innocente.
Delitto di Garlasco, a "Le Iene" la verità di Alberto Stasi
Alberto Stasi, torna a parlare a distanza di sette anni dal suo arresto per omicidio in un'intervista esclusiva ai microfoni della trasmissione "Le Iene". Il Delitto di Garlasco resta uno dei casi di cronaca nera più discussi nel nostro paese. Nell’agosto del 2007, Chiara Poggi, 26 anni, viene trovata morta nella villetta della sua famiglia. Fin da subito il fidanzato, Alberto Stasi appunto, viene iscritto nel registro degli indagati.
Dopo vari processi e dopo essere stato riconosciuto innocente per due volte, al quinto grado di giudizio, nel 2015, a otto anni dal delitto, Stasi, viene condannato definitivamente a sedici anni di carcere per averla brutalmente assassinata.
“Perché ho deciso di parlare oggi? Per dare un senso a questa esperienza, perché certe cose non dovrebbero più accadere. Se una persona vive delle esperienze come quella che ho vissuto io questa deve essere resa pubblica, a disposizione di tutti, e visto che ho la possibilità di parlare lo faccio, così che le persone capiscano, possano riflettere e anche decidere, voglio dire, se il sistema che c’è va bene oppure se è opportuno cambiare qualche cosa”. Alberto Stasi parla dal carcere di Bollate dove è detenuto e dove sta scontando la sua pena.
Nella lunga intervista il trentottenne parla di Chiara, dei suoi genitori, dei magistrati, delle perizie, degli arresti che ha subito e dei processi, anche quelli mediatici. Approfondisce inoltre quelle che lui ritiene essere storture, forzature ed errori che hanno portato alla sua condanna.
"Sono innocente"
Alberto Stasi, si è sempre detto innocente e lo dichiara anche nell'intervista dove ripercorre, con dovizia di dettagli, una vicenda che appare tutt'altro che chiara e lineare: un processo senza un movente e senza una prova. Un processo che sembra essere basato su una serie di indizi alquanto contradditori che prima hanno portato a due assoluzioni e poi a una condanna definitiva.
“Sembrava di remare contro un fiume in piena andando controcorrente, fin dall’inizio: una volta lo scambio dei pedali, un’altra volta il test solo presuntivo, l’alibi che mi viene cancellato, l’orario della morte che viene spostato. Non c’era desiderio di cercare la verità perché una volta può accadere, la seconda volta può passare, ma non possono esserci una terza, una quarta, una quinta, per sette anni. Che verità c’è in tutto questo?”, dice ad Alessandro De Giuseppe e Riccardo Festinese, che lo intervistano.
“Io sono stato assolto in primo grado, sono stato assolto in appello, sull’unica condanna il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione ha chiaramente detto Non si può condannare Alberto Stasi, quindi, in Italia hanno un sistema che a oggi funziona così: la pubblica accusa dice No, questa persona va assolta ma, nonostante questo, la persona viene condannata.”
E alla domanda se sia stato lui o meno ad uccidere Chiara Poggi, risponde: "Quando mi chiedono se ho ucciso io Chiara penso che non sanno di cosa stanno parlando".
“Nell’immaginario comune un innocente in carcere è un qualcuno che soffre all’ennesima potenza. Per me non lo è, semplicemente perché la mia coscienza è leggera. Alla sera quando mi corico io non ho nulla da rimproverarmi. Certo, ti senti privato di una parte di vita perché togliere la libertà a una persona innocente è violenza, però non hai nulla da rimproverarti, l’hai subìta e basta, non è colpa tua.”
Le indagini
Del suo primo interrogatorio e del suo primo arresto, dice: “Ero spaventato ma anche abbastanza sereno, quella tranquillità di chi ha la convinzione di potere chiarire le cose".
"In quella notte l’accertamento era preliminare [...] ma il meccanismo si era messo in moto: era stato emesso un provvedimento, i carabinieri erano arrivati, i giornalisti erano già fuori dalla caserma, mandare tutti a casa, in qualche modo, credo dispiacesse, e quindi venni accompagnato in carcere.”
E' da lì che nasce in lui la convinzione che quell’episodio possa aver segnato in maniera irreversibile tutta la vicenda processuale successiva e che abbia gettato nell’immaginario collettivo e, secondo lui forse anche in parte della Magistratura, il seme della sua colpevolezza.
Dice: “Credo che questo episodio abbia comunque segnato tutto il seguito della vicenda processuale perché devi immaginarti il terremoto: la Procura di Vigevano aveva portato in carcere davanti a tutta Italia un ragazzo di 24 anni e adesso doveva spiegare il perché aveva sbagliato, e con loro anche i RIS di Parma, i quali avevano indotto il Pubblico Ministero a portare in carcere una persona sulla base di una relazione che era sbagliata.”
Infine, in merito alle indagini, afferma: “Sono passati 15 anni ma in quegli anni i RIS di Parma erano un po' mitizzati. [...] Non si trattava più di svolgere un’indagine ma si trattava di salvare la propria carriera, la propria reputazione. Questo poi ha comportato tutta una serie di conseguenze di inezie, di incapacità di tornare indietro, non so se mi spiego. Per ammettere i propri sbagli bisogna avere coraggio, carattere".