Pazienti in terapia intensiva colonizzati da batteri: studio del San Matteo definisce nuova tecnica per tracciare la loro diffusione
Messa a punto durante la prima ondata della pandemia nei reparti di terapia intensiva, non solo covid
Batteri ospedalieri tracciati meglio con una nuova tecnica: uno studio del San Matteo di Pavia messo a punto durante la prima ondata di covid-19 nei reparti di terapia intensiva, non solo covid.
Batteri ospedalieri tracciati meglio con una nuova tecnica
Parla anche pavese lo sviluppo di una nuova tecnica genomica che permette di tracciare contemporaneamente la diffusione di più superbatteri negli Ospedali e, potenzialmente, migliorare la sorveglianza e la gestione delle infezioni ospedaliere.
A svilupparla sono stati i ricercatori della Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia, dell’Università di Pavia, dell’Università di Oslo e del Wellcome Sanger Institute, i quali hanno condotto uno studio di tipo proof-of-concept incentrato su un approccio di deep sequencing in grado di caratterizzare, contemporaneamente, tutti i batteri nosocomiali più diffusi.
D’altra parte, le pratiche attualmente in uso necessitano la messa in coltura e il sequenziamento separato di ciascun patogeno, richiedendo molto più tempo e lavoro, rispetto al nuovo approccio.
Studio su 256 pazienti ricoverati
Lo studio, che è stato recentemente pubblicato sulla prestigiosissima rivista di settore The Lancet Microbe, ha caratterizzato la popolazione batterica in diverse unità di terapia intensiva (ICU) e altri reparti ospedalieri nel 2020, durante la prima ondata della pandemia di COVID-19.
I ricercatori hanno identificato le specie batteriche presenti nei pazienti, inclusi patogeni noti per la resistenza agli antibiotici. In particolare, è stato effettuato un campionamento da 256 pazienti ricoverati presso il Policlinico San Matteo. Sono stati raccolti materiali da diversi distretti corporei: intestino, vie aeree superiori e polmoni. L’analisi di 2.418 campioni di DNA ha identificato 52 specie batteriche, di cui il 66% comprendeva diversi ceppi delle sette infezioni batteriche ospedaliere più comuni.
Grazie al lavoro dei ricercatori è emerso che i pazienti in terapia intensiva erano costantemente colonizzati da batteri in grado di causare malattie gravi e, nel 40% dei casi, i batteri erano portatori di fattori di resistenza agli antimicrobici. Inoltre, hanno mappato con successo la diffusione dei batteri ospedalieri su un periodo di cinque settimane, prevedendo quali batteri erano più probabilmente causa di infezioni acquisite in Ospedale.
Identificare e controllo diffusione batteri
A conclusione del lavoro, gli autori propongono che la loro tecnica possa essere integrata in futuro con i sistemi di videosorveglianza ospedaliera esistenti, con lo scopo di identificare, tracciare e controllare la diffusione di più batteri resistenti ai trattamenti antimicrobici, che costituiscono un problema sempre più diffuso negli ambienti clinici.
“La nostra Unità ha rilevato il primo caso di COVID-19 nel mondo occidentale" ha commentato Fausto Baldanti, direttore SC Microbiologia e Virologia della Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo e professore ordinario dell’Università degli studi di Pavia.
"Abbiamo potuto assistere in diretta alle primissime fasi della pandemia e al grande sforzo scientifico mondiale di ricerca sul SARS-COV2. Tuttavia, lo studio dei nostri ricercatori ha dimostrato che in quel frangente i superbatteri non sono scomparsi. Al contrario, la presenza simultanea di più specie di batteri multiresistenti nei reparti di terapia intensiva, che accoglievano pazienti con COVID-19, ha costituito un aspetto cruciale della situazione clinica legata alla nuova malattia in quei giorni drammatici”.