La denuncia

Riapre l'Università di Pavia ma è caos, l'UDU: "Studenti abbandonati, cosa succede con un positivo in aula?"

Non solo le scuole, ma in questi giorni hanno riaperto anche le 14 università lombarde con lezioni, esami e attività pratiche.

Riapre l'Università di Pavia ma è caos, l'UDU: "Studenti abbandonati, cosa succede con un positivo in aula?"
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Riapre l'Università di Pavia ma l'UDU denuncia: "Universitari abbandonati, non sappiamo cosa succeda con un positivo in aula".

Riapre l'Università di Pavia ma è caos

Non solo le scuole, ma in questi giorni hanno riaperto anche le 14 università lombarde con lezioni, esami e attività pratiche. Una riapertura che sta facendo discutere a causa dell’incertezza e delle perplessità sollevate da più parti, dovute alla situazione pandemica ancora critica e alle scarse indicazioni arrivate dalla politica e dalle istituzioni sanitarie.

In prima linea si trova l’Unione degli Universitari. Simone Agutoli, segretario del Coordinamento per il Diritto allo Studio - UDU Pavia, spiega: «Stiamo monitorando la situazione ma non è facile, il Governo si è dimenticato degli studenti universitari. Per quanto riguarda gli esami, in Lombardia la maggior parte degli atenei lombardi ha stabilito lo svolgimento online degli orali e lo svolgimento in presenza degli scritti, salvo eccezioni di natura sanitaria. L’Università di Pavia si è discostata per gli esami orali, limitandosi a stabilire delle raccomandazioni, anziché regole omogenee e vincolanti. Ciò significa che, nei prossimi giorni, avremo approssimativamente 15mila universitari pavesi che rientreranno nelle aule partecipare agli esami, oltre a svolgere attività didattiche e pratiche per le quali è ancora prevista la presenza».

Protocolli sanitari adeguati?

I protocolli sanitari sono adeguati? «Assolutamente no. In questo momento» risponde Agutoli «non esiste un vero protocollo sanitario per le università. Ad esempio, non sappiamo cosa succeda nel caso in cui ci siano dei positivi in aula: le ATS non sanno esattamente cosa fare alla luce delle nuove norme, applicabili unicamente alle scuole. Per quanto riguarda le mascherine gli atenei, compreso quello di Pavia, stanno autonomamente raccomandando le mascherine FFP2, visto che spesso non è possibile garantire il distanziamento. Siamo però senza alcuna indicazione chiara da parte del Ministero dell’Università e della Ricerca: ogni Università si arrangia come può».

Green Pass

Sul fronte green pass, la normativa vigente impone agli universitari quello base, ossia quello ottenibile mediante vaccinazione, guarigione o tampone. Ma le cose non sono così chiare, come spiega sempre l’UDU: «I controlli sono disomogenei, gli atenei non sempre dispongono di personale e risorse adeguate a controllare diffusamente il possesso della certificazione e la temperatura. Per non parlare del green pass rafforzato: è necessario per accedere alle mense, alle biblioteche o alle residenze? Ogni Università interpreta la normativa differentemente: a Pavia, ad esempio, non serve per le residenze e le mense, in altri atenei sì. In mezzo a tutta questa confusione, l’unica cosa certa è che se un universitario vuole una mascherina o vuole farsi un tampone, deve pagarseli a prezzo normale». Per tutti questi motivi, la settimana scorsa l’Unione degli Universitari ha scritto una lettera alla Regione Lombardia per chiedere chiarimenti su green pass, tamponi, protocollo sanitario, mascherine e risorse economiche.

"Servono chiare indicazioni"

Lettera che incassa il supporto di Tobia Sertori, Segretario Generale della FLC CGIL Lombardia: «Dopo l’introduzione dell’obbligo vaccinale per il personale dell’Università, la ripresa delle attività in presenza e la gestione degli esami universitari necessiterebbero di chiare indicazioni per la gestione della sicurezza e della salute. Purtroppo, in assenza di un protocollo nazionale, è lasciata ad ogni ateneo la gestione degli strumenti da applicare durante le attività, mentre servirebbero delle linee guida da parte del Ministero della salute e delle indicazioni uniformi da parte delle ATS per la gestione dei tracciamenti e screening.

Invece, come la FLC CGIL denuncia da tempo, le ATS non sono in grado di tracciare l’esplosione dei contagi e la gestione degli interventi legati ai tamponi per la verifica della positività laddove, come nelle università, dovessero essere rinvenuti casi positivi, sia tra il personale che tra gli studenti. È evidente» continua Sertori «la recrudescenza del virus e l’esplosione dei contagi, specie tra le fasce di età giovane. La FLC CGIL ha sempre ritenuto che l’obbligo vaccinale fosse l’unica via d’uscita per debellare questa epidemia che sta condizionando la vita di tutti ormai da due anni.

Regione Lombardia potrebbe intervenire assicurando presidi sanitari all’ interno delle Università per tracciamenti, tamponi e vaccinazioni, per gli studenti in particolare. La richiesta di intervento avanzata a Regione Lombardia da parte dell’UDU merita di avere risposta».

A proposito, Agutoli chiarisce come la responsabilità sia innanzitutto del Governo:

«Speriamo che la Regione si attivi per sollecitare il Governo a dare delle risposte al mondo universitario e, nel frattempo, sopperisca per quanto di sua competenza ad un Ministero inottemperante. La nostra categoria si merita di più, considerata anche l’adesione impressionante alla compagna vaccinale da parte degli universitari. In Lombardia veniamo battuti solo dagli ultraottantenni: la fascia dei 20-29 anni ha visto infatti un’adesione superiore al 97%. La politica non sta facendo una bella figura a trattarci così, ci aspettiamo che gli atenei abbiano adeguati finanziamenti per affrontare questa fase e che la politica sia in grado di dare delle risposte chiare ai quesiti che abbiamo sollevato».

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