L'intervento

Emergenza Covid: “Crescono i casi? No, aumentano i tamponi”

"Facciamo in modo che i giovani asintomatici, ma potenziali portatori del virus, abbiano un approccio più attento ai nonni e alle persone più fragili".

Emergenza Covid: “Crescono i casi? No, aumentano i tamponi”
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Emergenza Covid: “Crescono i casi? No, aumentano i tamponi”. Ecco quanto sostiene Paolo Gulisano, cultore e docente di Storia della Medicina, che ha pubblicato un articolato intervento in merito sul suo blog (paologulisano.com) che proponiamo integralmente.

Emergenza Covid: “Crescono i casi? No, aumentano i tamponi”

Se quotidianamente non venissero diffusi i dati del numero dei soggetti che sono stati riscontrati positivi al test del tampone naso-faringeo, da due mesi del Covid non si parlerebbe più. Perché? Perché i reparti degli ospedali si sono svuotati, così come le terapie intensive. Le due superstrutture realizzate in Lombardia in tempi record e costate parecchi milioni di euro e destinate ad ospitare pazienti critici sono assolutamente vuote. E infine, ci sono i numeri che sono delle autentiche sentenze. Dall’inizio dell’estate la media giornaliera dei decessi è di sei persone al giorno: un caso di morte ogni 10 milioni di abitanti. Numeri che dovrebbero suscitare soddisfazione negli operatori e sollievo nella popolazione, ma niente: ogni giorno le cassandre che possono usufruire a piacimento delle tribune mediatiche a grande diffusione continuano a martellare il loro messaggio di terrore.

I contagi aumentano, ci dicono, ed in effetti questi sono i soli numeri che vengono evidenziati, enfatizzati, urlati. Nessuno che metta in relazione il fatto che i positivi ai tamponi aumentano e che i malati diminuiscano e che i morti si contino sulle dita di una mano. Tra parentesi, ricordiamo che giornalmente muoiono in Italia circa 1.700 persone, delle più varie cause. Una strage quotidiana ignota ai più. Possibile che solo i sei morti da Covid, età media 87 anni, facciano notizia? Il dato della drastica diminuzione della gravità dei casi di Covid è inoltre internazionale: in Gran Bretagna, il paese col più alto tasso di mortalità, e dove l’epidemia è giunta diverso tempo dopo che in Italia, i pazienti in terapia intensiva sono scesi da tremila al giorno, cifra raggiunta durante il picco, agli attuali  settanta. Dati insomma che dovrebbero far riflettere.

Come si diceva, l’unico dato però che viene sbattuto in prima pagina è quello dei “contagi”, un termine che a livello propagandistico fa il suo effetto, ma che in realtà significa “positivi al tampone rino-faringeo”. Non si tratta insomma di malati. Sono i cosiddetti asintomatici, persone cioè che pur risultando positive al test non hanno nemmeno una linea di febbre, un colpo di tosse. E perché il numero è- come ci dicono- in aumento? Perché si sta producendo uno sforzo titanico di ricercarli, questi positivi. Uno sforzo che avrebbe dovuto essere fatto a fine febbraio. Negli scorsi giorni si è arrivati a fare fino ad 80.000 tamponi al giorno, individuando circa 1000 positivi, un numero che ha fatto gridare all’allarme. Un 1,2 per cento di tampini positivi. Ma questi mitici tamponi che cosa sono, di fatto? Lo scriviamo perché è abbastanza evidente che alle persone sono state confuse le idee, in proposito.

Il tampone rinofaringeo è uno strumento usato nella diagnostica di infezioni batteriche e virali. Vari virus delle vie respiratorie possono essere individuati tramite i tamponi, tra cui il rhinovirus, l’adenovirus, l’influenza, il virus respiratorio sinciziale (RSV), i virus parainfluenzali umani (HPIV), il metapneumovirus, così come molti batteri, come lo streptococco pneumoniae. Questo perché  la mucosa nasale e faringea  normalmente ospita microrganismi sia patogeni che non.

Il tampone rino-faringeo è uno strumento di diagnosi esatta? No: esiste una certa percentuale di fallibilità del test, che può dare sia falsi positivi che falsi negativi. Lo sanno bene le tante persone malate che si sono sentite dare esiti negativi dei tamponi, così come il contrario.  Lo strumento diagnostico più preciso è in realtà il test sierologico. Quindi, stiamo parlando di una realtà che numericamente non è esattamente individuabile, mentre la cosa assolutamente certa è che queste forme sono clinicamente lievi. Noi troviamo 1000 positivi su 80.000 al giorno di Covid, ma se cercassimo altri virus o batteri troveremmo cifre altrettanto significative.

I sostenitori della paura sottolineano che il coronavirus ora colpisca persone più giovani, come se si stesse aprendo un nuovo fronte. In realtà i giovani probabilmente si contagiavano anche prima, ma erano asintomatici, come i bambini. Se ora lo risultano maggiormente, è proprio perché vengono testati, mentre prima no: erano tutti segregati in casa per il lockdown. L’età media dei positivi a luglio in Italia, stando a un report dell’Istituto Superiore di Sanità, è precipitata a 35 anni, quando nei mesi più drammatici dell’epidemia superava abbondantemente i 60 anni.

Quindi? Quale dovrebbe essere la strategia di fronte a questo mutato quadro epidemiologico? Tornare al lockdown? Anche no. Se la parte di popolazione più a rischio e da mettere in sicurezza è quella degli anziani e delle persone fragili, facciamo in modo che i giovani asintomatici ma potenziali portatori del virus abbiano un approccio più attento ai nonni e agli anziani. Da decenni i giovani vengono capillarmente bombardati da inviti ad usare il preservativo nel fare sesso, potrebbero essere educati a come impedire la diffusione di microrganismi anche per via aerea. E a proposito di educazione sanitaria e prevenzione: quando vedremo delle campagne anti-fumo? Se il Covid è così pericoloso per le vie aeree, perché non arrivare anche a proibire fino a emergenza conclusa la vendita delle sigarette? Solo perché fa perdere soldi allo Stato?

In questi mesi abbiamo assistito a proibizioni e a limitazioni delle libertà ben peggiori. Auguriamoci dunque che vengano valorizzate pienamente tutte le possibilità della Medicina Preventiva, che – a differenza di quanto ci vogliono far credere – non consistono unicamente nella vaccinazione, ma soprattutto nel cambiamento degli stili di vita.

Paolo Gulisano

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