La storia del vino Novello, prodotto giovane ma antico

Era molto apprezzato già in epoca romana, oggi si conferma peculiarità di numerose regioni della nostra Penisola

La storia del vino Novello, prodotto giovane ma antico
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Qual è la storia del vino Novello? Amanti del bere bene, attenzione. Si avvicina novembre, ovvero il momento di stappare la prima bottiglia di Novello della stagione. Ai tempi di Columella il Novello era chiamato «doliore». Lo si conservava nelle celle vinarie e non all’interno delle apoteche o fumarie ove si collocavano i vini da invecchiamento. Il «doliore» e l’«horum» erano cose diverse, quest’ultimo era il vino dell’annata, come per esempio alcuni Gaurani, altri dei Colli Albani, Sabini e molti della Tuscia, ossia della Toscana. Il vino latino della Campania andava consumato entro marzo, mentre i doliores venivano bevuti più prontamente. Ma un mercato vero e proprio non esisteva. Neppure nel Medio Evo, e neanche dopo, ha preso diffusione un commercio importante di vini novelli quale ora si intende.

La storia del vino Novello

Tuttavia in quell’epoca e fino al sedicesimo e diciassettesimo secolo, specialmente in Francia, il vino era venduto assai velocemente dopo la vendemmia e con molta frequenza esso non passava l’inverno nel luogo di produzione. Ideale per i produttori era sbarazzarsi dei vini, specialmente di quelli che non erano destinati all’invecchiamento. Perché fare investimenti in cantine, quando in poche settimane o pochissimi mesi il vino viene esitato? Nella regione parigina, nel 1600, più della metà delle aziende vitivinicole non possedeva cantine, così pure in Champagne. Notare che queste ne rappresentavano già le zone a maggiore densità. Il fenomeno si è protratto fino a dopo la seconda guerra mondiale. E’ la città, il centro urbano, si pensava e si diceva, che consuma vino; è la città che possiede le cantine per conservarlo.

La conservazione evolutiva del vino in bottiglia

In un certo senso, anche da noi era un po’ così, se per cantina di conservazione si vuole intendere più locale di evoluzione del vino imbottigliato, che opificio di trasformazione dell’uva in vino, con relative lavorazioni. E’ infatti soltanto dal nostro secolo che le cantine dei produttori e dei negozianti vinificatori si sono attrezzate anche di “bottiglieria”, cioè di cantina per la conservazione evolutiva del vino in bottiglia. E un po’ ovunque: dalla Borgogna al Bordolese, dal Piemonte al Veneto, alla Toscana. Una volta chi consumava il vino acquistava la damigiana o il fusto e se lo imbottigliava in casa. Poi, i produttori, pian pano sono diventati imbottigliatori. Ne è nata così l’enologia per l’imbottigliamento e la meccanica per l’imbottigliamento, con relativa industria.

L’importanza della microfiltrazione

Da queste due voci è conseguita una serie di tecnologie specifiche, quali il collaggio, la filtrazione, la stabilizzazione a freddo e a caldo, la solforazione, e tante altre, fino all’attuale microfiltrazione, indispensabile specialmente per i vini novelli e per i vini bianchi. Più i vini sono giovani, più questa tecnologia è sentita. Il ripasso sulle vinacce o sull’uva fresca per ringiovanire e dare più fragranza ai vini, nel senso quasi di rinnovarli, reca data XVI-XVII secolo, ma non prima.

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